Il gatto al tempo dei Romani

Nel V secolo a.c., Erodoto ebbe modo di conoscere questo felino e gli diede il nome di Ailouros (“dalla coda mobile”), termine che presto venne sostituito da Gale, vocabolo greco utilizzato originariamente per la donnola, in età tarda si utilizzò invece kàttos da cui gatto.Una possibile origine semitica del vocabolo potrebbe essere attestata da un’opera armena del V sec., in cui si trova catu, a cui fa riscontro il siriano gatô. Cattus sarà all’origine del nome del gatto nella maggior parte delle lingue europee (cat inglese, katz tedesco, kat olandese, gato spagnolo e portoghese, chat francese, kochka russo).

Nell’antica Roma il gatto selvatico veniva invece detto Felis, da cui derivano i nostri felino, felide, ecc. Solo dal IV sec. d.c., compare il termine Cattus, forse di derivazione africana (nubiano kadis) o celto-germanica (nei cui idiomi viene variamente riprodotta, ad esempio: irlandese cat, antico tedesco chazza, antico scandinavo kötr).Il gatto arrivò a Roma più tardi rispetto alla Grecia anche se nei reperti archeologici degli etruschi sono state ritrovate piccole statue in pietra raffiguranti un gatto. I Romani, come i Greci, erano soliti usare altri carnivori, come la donnola, la faina e la martora, per il controllo dei topi, ma presto si accorsero che i gatti si addomesticavano più facilmente affezionandosi alla casa e ai proprietari, o almeno ad uno di essi.Durante le campagne di conquiste i romani li conobbero, li apprezzarono e li portarono con sé contribuendo alla sua diffusione in tutta Europa.

Tracce della presenza del gatto sono state rinvenute in tutte le regioni conquistate dai romani.Sia gli Etruschi che i Romani conoscevano il gatto, del quale apprezzavano i servigi sia come animale da lavoro (per debellare i topi) che da compagnia. I Greci invece li ignorarono e per cacciare i topi dalle loro case, si servivano delle donnole e dei colubri.Gli antichi Romani apprezzavano lo spirito indomito e curioso del gatto, tanto che la Dea Libertas, era spesso raffigurata in compagnia di un gatto. Nel I sec. d.c. anche a Roma, come precedentemente in Egitto, furono introdotte leggi severe volte a tutelare i gatti e la loro utilità contro i roditori.Nell’antica Roma i gatti erano sacri a Diana, si credeva che avessero poteri magici, concessi loro dalla Dea. La Dea latina Diana, associata alla luna, alla femminilità e alla magia, proteggeva la gravidanza e intratteneva un rapporto privilegiato con la natura, i boschi, gli animali e le piante.

Ella, per sedurre il fratello Apollo e concepire da lui un figlio, prese forma di gatto.L’introduzione nell’Impero Romano del culto di Bastet, poi identificata con la Dea Iside, rafforzò nei romani il culto del gatto sacro. In ogni città infatti vi era un tempio dedicato alla Dea, detto Serapeum. Nei templi di Iside i gatti giravano tranquillamente, sia al loro interno che nei suoi giardini, e la gente portava loro offerte di cibo. Ne esistevano pure diverse statue, praticamente tutte distrutte dall’intransigenza cristiana.A Roma l’amore per i gatti si manifestò dal sorgere di diversi nomi propri o addirittura cognomi con etimologia derivante dalla parola “gatto”: Felicula, Felicla (gattina o micina), Cattus, Cattulus (gatto, gattino). Alcuni reparti dell’esercito romano, in particolare i centurioni, sugli scudi recavano come simbolo gatti di colori differenti.Presso i romani, dunque, il gatto godette di un notevole favore, anche se non venne divinizzato come in Egitto.Le matrone si circondarono di gatti di ogni provenienza e colore, e i commercianti dei mari si organizzarono in tal senso, importandone da ogni paese e facendoli incrociare tra loro per ottenere razze più belle e più rare per cui più costose.

Le matrone mettevano collarini preziosi ai loro mici, come nastri di seta decorati di pasta vitrea e pure di pietre preziose, o, a imitazione degli egizi, gli ponevano degli anelli d’oro tipo piercing sul naso e sulle orecchie. I collarini si intonavano al colore del pelo o più spesso dal colore degli occhi, ritenuto molto importante per la preziosità dell’animale.Oppure, sempre sulla moda egizia che era seguitissima in epoca iulia, gli ponevano una pettorina ricamata e decorata.Con il I secolo d.c. il gatto completò la colonizzazione dell’Europa e continuò la sua collaborazione con l’uomo ricoprendo soprattutto ruoli di utilità come disinfestatore dei granai e delle abitazioni. Il gatto (o micio, che è in fondo il suo nome più antico) non teneva solo lontani i topi, ma pure le blatte, i ragni e perfino gli insetti, perché cacciava qualsiasi essere si muovesse nel suo territorio.

L’avvento del cristianesimo invece fu per i gatti una vera calamità. Nella follia cristiana di peccato ed espiazione anche gli animali, senza alcun motivo, vennero divisi in benefici e malefici, i gatti rientrarono tra questi ultimi, colpevoli forse di non essere manipolabili come i cani e gli umani, ma soprattutto di essere creature notturne e quindi demoniache. I prelati videro da sempre questo felino come fonte di peccato, accusandolo di portare con sé tutti i malefici possibili. Per di più, il gatto fu molto presto associato alla stregoneria: le streghe amavano trasformarsi in animali, in particolare in gatte; una donna che vivesse con i gatti, ritenuti inviati dal diavolo per aiutarla nei suoi incantesimi, diventava automaticamente una strega.Durante quest’era di oscurantismo, furono presi di mira soprattutto i gatti neri. Papa Gregorio IX (1170 – 1241) dichiarò i gatti neri stirpe di Satana nella sua bolla papale del 1233, con la quale prese avvio un vero e proprio sterminio di queste creature, torturate e arse vive al fine di scacciare il demonio.